C’è un dato che circola da qualche tempo nei report di settore, tra i discorsi dei bartender e le
lamentele velate dei distillatori artigianali: i nati dopo il 2000 consumano fino all’80% in meno di alcolici rispetto alle generazioni precedenti.
Feed di Prometeo – II puntata – I giovani e l’alcol
Una notizia, all’apparenza, bellissima. Meno sbronze, meno coma etilici, meno serate finite nel
cesso di un locale con neon intermittenti e decisioni sbagliate. Eppure. Eppure c’è qualcosa di
strano. Come se dietro questo sobrio trionfo si nascondesse una forma più sottile di rinuncia.
Un noto distillatore (di quelli che ti parlano del gin come fosse un figlio problematico ma geniale) ha detto: “Questi ragazzi hanno il palato rovinato dalle bevande energetiche. Non sentono più il gusto delle cose vere”.

Forse è vero. Forse la colpa è dello zucchero, delle bibite fluo, dei cocktail che sanno tutti di
caramella alla pesca. Ma forse, semplicemente, il bere ha smesso di essere un rito di passaggio.
Una volta bere era un gesto per diventare adulti. Una forma di travestimento: ti metti il bicchiere in mano e sembri già qualcuno. Oggi che gli adulti stessi si vestono da diciottenni e fanno i reel su TikTok, essere adulti non è più un obiettivo, è una minaccia.
E allora, se non serve più diventare grandi, a che serve bere per i ragazzi?
Certo, c’è anche la variabile dell’ipercontrollo: niente alcol perché devi performare, essere
produttivo, avere la pelle perfetta per i selfie. Ma il sospetto più inquietante è un altro: che abbiamo educato un’intera generazione a temere la perdita di controllo, a non concedersi nemmeno quel piccolo margine di sbavatura che rende la vita interessante.
Un tempo si beveva per sciogliersi un po’. Oggi si resta sobri per paura di rompersi.
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