Nel Nuovo Mondo della gente che non legge più, o forse l’ha fatto l’ultima volta con i Promessi Sposi alle superiori; dei pendolari cinquantenni con lo zainetto e il berrettino da baseball che non hanno mai smesso le felpe col cappuccio del liceo forse perché sono state sdoganate da Zuckerberg che –en passant- ha mille volte le loro sostanze tutte messe insieme; della neo-lingua del professionista creativo di non è chiaro cosa che passa inopinatamente da una task force informatica (sentito stamane in treno: cosa sarà mai?) a un’urgente riunione programmatica ovviamente in via telematica, è scomparso l’ultimo gigante del Novecento, cioè di un altro secolo. Mario Vargas Llosa, un uomo elegantissimo, vestito di abiti sartoriali, che non disdegnava d’essere lussuoso protagonista di gossip. Lui e la sua ultima compagna, l’attrice-modella e prima moglie di Julio Iglesias, Isabel Preysler, una delle donne più belle dei suoi tempi, affollavano le pagine dei rotocalchi di lingua spagnola dalle più belle località vacanziere del mondo. Alla faccia della retorica che vorrebbe l’intellettuale sempre contrito, piegato su se stesso in condizione di semi-indigenza e costante preoccupazione per i destini del mondo.
In verità Vargas Llosa, scomparso ieri l’altro a 89 anni, ultimo grande scrittore del Novecento e quindi del Mondo Civilizzato (visto che con la fine del Secolo Breve sono finiti i Sistemi e con questi anche la Cultura), preoccupato dei destini del mondo lo era stato assai. E (anche) per questo aveva vinto un Nobel.

Mario Vargas Llosa: le origini
Peruviano di Arequipa, segnato da un rapporto conflittuale con il padre che lo costrinse a iscriversi a un collegio militare perché temeva che la passione del figlio per la letteratura lo rendesse “effemminato”. Qui corre un inciso: è proprio vero che i padri non capiscono nulla. Soprattutto quelli che vivono un’epoca autoritaria come la nostra, vedi l’Ungheria con Orban che dichiara fuori legge i Pride. E anche l’Italia non scherza, con Vannacci che pur tingendosi i capelli fa risibile professione di machismo.
Vargas Llosa per questioni di femmine negli anni Settanta tirò un pugno all’amico Gabriel Garcia Marquez, il quale non gli parlò per trent’anni. Il padre poteva starsene calmo e tranquillo, adesso per una cosa del genere chissà cosa sarebbe successo. Tuttavia, la rigida gerarchia del collegio portò il giovane Mario a coltivare con ancora maggior fragore la passione per la letteratura, soprattutto quella francese, tra Sartre e Flaubert. E appassionarsi all’impegno civile. Ebbe un’infatuazione giovanile per Fidel Castro, che durò fino a quando il Lider Màximonon gli vietò l’ingresso a Cuba, molto, molto tempo fa.
Il primo romanzo
L’incipit del suo primo romanzo, chiaramente autobiografico, “La Città e i Cani” (1963) è devastante: “Quattro, disse il Giaguaro. Al chiarore incerto che il globo di luce diffondeva nel locale, attraverso le poche sfaccettature di vetro non ancora coperte di sudiciume, le espressioni dei visi si rilassarono: il pericolo era passato per tutti, salvo che per Porfirio Cava. I dadi erano immobili, bianchi contro il suolo sporco e segnavano tre e uno”.
È il romanzo di formazione del cadetto di una scuola militare e, contraddicendo un po’ a quanto ho appena detto, forse a volte, ma solo a volte, i padri hanno ragione. Senza la sofferenza dell’esperienza militare non sarebbe stato mai scritto uno dei più grandi romanzi della letteratura sudamericana. Si capiva che la sua passione era Flaubert: scriveva per capire se stesso e mettere in bella copia l’atto senza possibilità di replica della vita, che è sempre una bozza dell’esistenza.
L’era della grandezza
Diventa grande con il terzo romanzo, “Conversazione nella Cattedrale“. Rubo la citazione da Nicola Lagioia su La Stampa di oggi. Non perché il romanzo non l’abbia letto, ma perché è stato più lesto di me a trovare quella giusta. “Dalla porta de La Cronica Santiago guarda l’avenida Tacna, senza amore: automobili, edifici disuguali e scoloriti, scheletri di pubblicità luminosa che ondeggiano nella nebbiolina, il mezzogiorno grigio. In che momento si era fottuto il Perù? Gli strilloni, infilandosi tra veicoli fermi al semaforo della calle Wilson, gridano i titoli dei giornali del pomeriggio, e lui comincia a camminare, piano, verso la Colmena”.
Santiago è un ex studente di giurisprudenza, proviene da una famiglia importante. Grazie a un incontro fortuito, il protagonista scopre che il padre è stato vicino al regime, e il romanzo assume toni di critica pesante verso il governo di allora. Critica che potrebbe essere stata in realtà mossa a qualsiasi regime autoritario. Ma che qui assume le peculiarità di tutti gli stati sudamericani che, secondo Llosa, hanno il pregio di incarnare la dimensione mistica del sogno. Ma che proprio per questo motivo, non avendo alcuna aderenza con la realtà, sono più propensi a farsi abbindolare da politicanti furbi, senza scrupoli, vocati alla corruzione.

Mario Vargas Llosa e l’impegno politico
Nel 1990, quando il governo impose la nazionalizzazione delle banche, Llosa scese in campo come candidato alla presidenza per donare al suo popolo un governo liberale. Fu sconfitto da Fujimori che raccolse i voti di tutte le sinistre. Non fu uno smacco, disse lo scrittore: “La mia vita è la letteratura, non la politica”. Aggiunse che la società peruviana non era ancora matura per il liberalismo, e aveva ragione: Fujimori dopo due anni fece un colpo di Stato. E oggi questa riflessione sarebbe ancora più lacerante, perché sono passati ben più di trent’anni e nessuna società, non solo quella peruviana, ha dimostrato di meritarsi il liberalismo. Persino quando gli fu assegnato il Nobel, nel 2010, dichiarò che era strano, che il Nobel non era fatto per i liberali. Significa che era talmente bravo, ma talmente tanto, da essere stato chiamato a Stoccolma senza professare ideologie “amiche”.
La scrittura di Vargas Llosa, a differenza di quella dell’amico/nemico Garcia Marquez, è profondamente realista. È per questo che si è sempre opposto ai paradigmi dell’irrealtà della società sudamericana, ripudiando profondamente il comunismo “alla Castro”. E ogni altro genere di totalitarismo. Era un ammiratore di Margaret Thatcher, che ebbe potuto apprezzare durante il suo periodo inglese. “Lotta – scrisse – contro le tirannie più crudeli del mondo”.

Nell’Irlanda di Joyce, Wilde e Yeats
di Francesco Bruno Fadda
Gli ultimi anni e il loro stile
Negli anni Duemila i romanzi di Mario Vargas Llosa si fecero appena meno politicizzati, con importanti strati di erotismo. “Avventure della ragazza cattiva” (2006) è ambientato nella Lima degli anni Cinquanta e narra di un borghese ordinario che si invaghisce di una nina mala, una donna bella, furba, bugiarda. Il protagonista, alla fine, s’accontenta dell’illusione, della speranza che ella lo ami quantomeno per ricompensarlo dell’amore che egli ha profuso nel corso degli anni.
È incredibile la lucidità con la quale un premio Nobel narra la stupidità umana. Altro che posta del cuore.
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