Quando il 31 marzo 1985 comparve per la prima volta su L’Espresso una piccola rubrica con un titolo che pareva uscito da una cartoleria degli anni ’60 — La Bustina di Minerva — nessuno poteva immaginare che stava nascendo una delle forme più perfette di intelligenza seriale applicata al giornalismo culturale. A firmarla, ovviamente, Umberto Eco. Non uno che passava di lì per caso.
Per oltre trent’anni, Eco ha scritto le sue bustine con la grazia feroce di chi sa tutto, ma finge di no. Osservava il mondo con la pazienza del bibliotecario e la perfidia dell’intellettuale ironico, e lo restituiva in forma di pagine che sembravano leggere, ma avevano dentro la densità della carta geografica dell’intero pensiero occidentale.
Il nostro omaggio. Nasce il Feed di Prometeo
E noi?
Noi no.
Noi siamo Prometeo.

Una rubrica, un feed, una serie di osservazioni — settimanali, probabilmente inutili — su ciò che si muove, cambia, decade o semplicemente non funziona più nel mondo che ci circonda. Ci rifacciamo alla Bustina come un fedele distratto si rifà a un passo della Bibbia letto di sbieco su un santino sgualcito. Non ne siamo gli eredi (non potremmo), non ne siamo gli epigoni (non vogliamo), ma ci piace pensare che la sua esistenza ci autorizzi a provare.
Prometeo non accende il fuoco — quello l’ha già rubato.
Noi ci limitiamo a scaldarci un po’ le mani.

Il tavolo dei paradossi apparecchiato da Alessandro Borghese
di Terry Nesti
Ogni settimana proveremo a scrivere qualcosa che non sia una notizia, né un commento, né un contenuto. Ma una minuscola forma di resistenza all’indifferenza.
Un paragrafo storto, ma sentito. Un appunto non richiesto, come tutti gli appunti migliori.
La bustina era un fiammifero.
Noi siamo la scintilla che rimane sotto l’unghia.
Benvenuti.
Alla prossima,
Prometeo
Nota bene: Prometeo tornerà sui vostri schermi ogni domenica.
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