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Tra Vermouth e Whisky: le confessioni spiritose di Enrico Chioccioli Altadonna

Dalla Carta del Vermouth Toscano al Whisky, da Winestillery a Florentis, tutti i progetti presenti e futuri del giovane Master Distiller fiorentino

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The apple doesn’t fall far from the tree, – la mela non cade mai lontano dall’albero -, recita un vecchio adagio, solitamente riferito in senso positivo o negativo a una persona di giovane età che esprime peculiarità che si ritengono ereditate dai genitori. Nel caso specifico, ovvero nel caso di Enrico Chioccioli Altadonna ci troviamo davanti sia all’albero, sia alla mela.

Figlio di Stefano Chioccioli, autorevole enologo, professionista serio, profondamente legato alla sua terra, poco avvezzo ai compromessi, per questo amato sia in Italia che in Francia.

Il nostro Vermouth Toscano ha regole severe: produzione in regione, 100% del vino locale

Enrico Chioccioli Altadonna
Una delle grandi sfide del 2025 sarà la prosecuzione dei lavori della Carta del Vermouth toscano. Com’è nata?

“Con Federico Bellanca ne parlavamo da tempo, il suo successo ci ha un po’ sorpresi. È stata chiamata “Carta etica del Vermouth”, ma è una lettera aperta ai produttori, ma anche a distributori, consumatori, giornalisti, amanti del settore. Un modo per mettere giù dei punti semplici per trovare un’unione di intenti che possa poi fare da base per aprire una strada più strutturata. Può sembrare una banalità dire che un Vermouth può essere chiamato Toscano solo se è prodotto nei confini della regione o se nasce da vini toscani, ma non lo è. Abbiamo dovuto escludere alcune aziende che si erano proposte proprio per questi motivi. Se mettiamo il nostro lavoro in rapporto con un Vermouth prestigioso come il Torino Igp, vediamo come le nostre regole sono in realtà molto più severe: produzione in toscana, 100% del vino toscano”.

Delle scelte molto nette

“Sono state dettate dal voler studiare le radici di questo prodotto nella nostra regione. Per noi l’Artemisia, per esempio, non è altrettanto qualificante quanto lo è in Piemonte. Lo sono il vino e le spezie si, perché qui i medici speziali esistono già nell’XI secolo a Firenze e Siena, e in Toscana si produceva Vermouth molto prima della nascita di Carpano. Abbiamo semplicemente dimenticato questa tradizione e ora stiamo cercando di onorarla nuovamente”.

Suo padre è un enologo affermato. Ha parlato di questo progetto con rappresentanti del mondo del vino?

“Non c’è ancora nulla di certo, ma abbiamo avuto dei contatti e una manifestazione di interesse da parte di alcune istituzioni di settore. Non c’è ancora nulla di scritto, ma penso sia una strada importante da percorrere. D’altronde per me il Vermouth è il vino da cui nasce, e questo non si può dimenticare”.

Vermouth, Bitter, Gin: un mix di prodotti di Winestillery
Vermouth, Bitter, Gin: un mix di prodotti di Winestillery
Winestillery prima, il Vermouth poi. Come incide il vino nella sua produzione?

“Tutto il lavoro della mia distilleria è legato al vino, già dal nome, e quando sono nati i nostri Vermouth li ho pensati come anello di congiunzione tra il lavoro della distilleria – attraverso il vino – e la mia voglia di rappresentare il territorio – con le botaniche -. Essendo nato in questo mondo e rispettando molto la materia prima vino, ho scelto di produrre dei Vermouth in cui questo diventasse un fattore identitario. Quando si assaggia il Vermouth rosso di Winestillery si riconosce subito il Sangiovese nella sua acidità, nella struttura tannica; allo stesso modo nel nostro Vermouth Dry volevamo che si sentisse il Trebbiano. Due etichette che vogliono essere ambasciatori del territorio”.

Il futuro degli spirits così territoriali secondo lei è ancora nella miscelazione o qualcosa sta cambiando?

“È indubbio che dall’anno scorso si stia assistendo a un cambio nelle attitudini oltre che a una riduzione nei numeri. E non solo per le aziende artigianali. Sono convinto che se da un lato permane la globalizzazione dei trend, il rovescio della medaglia sia il tendere, come reazione a questa, alla ricerca di prodotti territoriali, tradizionali, conosciuti. La miscelazione è stato un grande vettore e lo è tuttora, soprattutto se si guarda ai consumi; alcuni volumi sarebbe impossibile ottenerli altrimenti. Per alcuni prodotti però, tra cui il Vermouth, possiamo tornare a riabituarci a consumarli come prodotti autonomi, senza che questo sconfessi la loro capacità, essendo spirits dal carattere molto forte, di dare una decisa marcia in più ai miscelati in cui vengono utilizzati”.

Mi sono cancellato dall’albo degli avvocati lo stesso giorno in cui mi ero iscritto, subito dopo ho ordinato il mio primo alambicco

Enrico Chioccioli Altadonna
Il 2024 è stato l’anno del grande lancio di Florentis, il nuovo progetto legato al Whisky. Come è arrivato a questo distillato e perché?

“Il Whisky è fondamentale nel mio percorso professionale. Ho scelto di cambiare vita, reinventandomi da avvocato a Master Distiller proprio per colpa, se così si può dire, di questo distillato. Quando nel 2014 sono andato per alcuni mesi a New York con colei che è poi diventata mia moglie, era in atto il boom della distillazione artigianale. Non sapevo niente di distillazione, ma quel mondo mi affascinava e ho mandato qualche curriculum. Mi ha poi richiamato Colin Spoelman, il proprietario della Kings County Distillery a Brooklyn, un importante produttore di Bourbon. Ho iniziato a lavorare lì da loro come assistant master distiller in internship gratuita e dopo una settimana qualcosa era scattato nella mia testa. Chiamai mio fratello e mio padre e diedi a entrambi – ricevendo due reazioni diverse – la stessa notizia: non volevo fare l’esame di stato, ma aprire una distilleria”.

Quali sono stati i passi successivi?

“Mio padre non fu entusiasta, allora facemmo un patto: avrei fatto l’esame di stato per diventare avvocato e solo dopo ne avremmo riparlato. Nel frattempo ho inanellato una serie di esperienze che sarebbero poi state fondamentali per il mio lavoro: sono stato in Cognac a lavorare, ho fatto un corso per distillatori, un corso per birraio, sono andato all’università di Bordeaux a fare un corso di enologia. Mi sono cancellato dall’albo degli avvocati lo stesso giorno in cui mi ero iscritto, dopo il superamento dell’esame, e subito dopo ho ordinato il mio primo alambicco”.

Enrico Chioccioli con il suo Whisky, in centro a Firenze
Enrico Chioccioli

Dal Vermouth al Whisky

Quando ha cominciato a produrre Whisky?

“Dal primo giorno. La differenza, in questo caso, la fanno i tempi di invecchiamento di un prodotto. Io amo questo distillato e credo fortemente nel potenziale del Whisky italiano, anche se ovviamente non c’è ancora una storia. Quello che è certo è che non abbiano niente da invidiare a nessun altro Paese”.

D’altronde lo abbiamo già dimostrato in altri settori, come la birra…

“Esattamente. Abbiamo una materia prima staordinaria, tanti cereali autoctoni da poter studiare, un parco di botti e legni per l’invecchiamento che nessun altro ha. Aggiungiamoci un rapporto secolare con l’arte distillatoria e si capisce che i presupposti ci sono tutti. Oggi siamo in pochi a produrre Whisky, ma se continuiamo su questa strada, se manteniamo la barra dritta e non facciamo errori nel cammino, rimanendo compatti nel produrre solo etichette di alta qualità, sarà veramente difficile che non arriviamo a prendere posto nel ranking dei grandi Whisky del mondo. Penso ci siano tutti i presupposti”.

Cosa contraddistingue oggi, in fatto o in potenza, il Whisky italiano?

“Ho partecipato a molte tavole rotonde sull’argomento e ho trovato incredibile quanti punti di contatto ci siano tra gli attuali produttori di Whisky, anche senza contare le mie aziende. La territorialità è certamente il file rouge che accomuna tutti coloro che oggi hanno intrapreso questa strada, com’è giusto che sia. È il nostro elemento di diversificazione, dai cereali alle tipologie di botti per l’invecchiamento. Da questo punto di vista certamente si può pensare di poter sviluppare il mondo del whisky in chiave territoriale per darne una distinzione rispetto agli altri. Non necessariamente la Scozia deve essere il faro da seguire, penso sia più necessario cercare di creare un proprio stile. È la sfida più grande che abbiamo”.

Il Whisky di Florentis
Il Whisky di Florentis
Il Whisky è confluito nel progetto di Florentis, che prevede una distilleria a Firenze in via di apertura. Fino ad ora dove hai prodotto?

“A Gaiole, presso la sede madre di Winestillery. A oggi la distilleria di Firenze non ha l’alambicco funzionante, è ancora in fase di costruzione, nasce da un disegno e da un progetto molto particolare. L’obiettivo però è che tutto il progetto Whisky si sposti in città e speriamo che questo riesca ad avvenire nel minor tempo possibile”.

Qualche previsione per i tempi?

“Compio gli anni il 29 maggio, spero che per allora sia attiva, ma in generale spero che prima dell’estate possa aprire i battenti. Sono molto legato all’edificio in cui abbiamo trovato casa. L’ho visto per la prima volta nel 2015, quando al ritorno dagli Stati Uniti cercavo un luogo che mi permettesse di aprire una distilleria urbana come quella in cui avevo fatto esperienza a New York, allora però era un investimento troppo importante per un’azienda che doveva ancora nascere. Quando due anni fa è tornato sul mercato, abbiamo deciso di non farcelo scappare. La sede di Gaiole non chiuderà, ovviamente, le due distillerie saranno ben differenziate nei lavori, con gli invecchiamenti – per esempio – che avverranno in entrambe a seconda delle necessità”.

Produrre Whisky è altamente impattante a livello economico. Come vi siete rapportati con questo aspetto del lavoro?

“Essenziale è stato attivare subito Winestillery, altrimenti non sarebbe stato finanziariamente sostenibile. Ancora oggi la gestione del magazzino di invecchiamento è una delle sfide più complesse da affrontare. Non è facile oggi mettere in piedi una strategia a lungo termine, con un mercato che cambia così velocemente. C’è il rischio di farsi prendere dalla fretta. Noi abbiamo scelto di aspettare il tempo che ritenevamo giusto per poter uscire. Cioè più a lungo del minimo tecnicamente richiesto. In futuro cercheremo di mantenere la stessa linea d’azione per le etichette di Florentis: non farsi inseguire dall’ansia, aspettare che il prodotto sia pronto. Spero che sia la filosofia vincente”.

Il Tuscan Malt Whisky di Florentis
Il Tuscan Malt Whisky di Florentis
C’è qualche progetto in cantiere su questo fronte?

“Senza svelare troppo le carte, posso affermare che abbiamo in cantiere qualcosa di speciale. Degli unicorni, che potrebbero portare nel settore delle caratterizzazioni mai provate prima. Di prossima uscita la release dedicata all’inaugurazione del sito produttivo di Firenze, a cui abbiamo dato un nome significativo per la città. Ovvero 1492, l’anno della morte di Lorenzo il Magnifico. Nei prossimi anni lanceremo poi dei Whisky single cask particolari, con i quali vorremmo raccontare la filosofia produttiva di Florentis”.

Last one. Come reagiscono i mercati e gli assaggiatori, professionali e non, quando gli viene presentato un Whisky italiano?

“Di primo acchito tutti si chiedono se davvero è un Whisky italiano. La curiosità è folle. Dall’Italia, d’altronde, ci si aspetta sempre un prodotto di grande livello. C’è grandissima attesa su quelli che saranno i nostri risultati”.

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Scritto da
Francesco Bruno Fadda

Sardo per nascita, italiano per convinzione, battitore libero per natura.
 Giornalista e gastronomo, autore, ghost writer, avvocato mancato - per fortuna! - e cuoco mancato -...ma c’è sempre tempo! -. Vivo e “divoro” il mondo per passione prima che per professione. Quattro i punti deboli: le donne che bevono whisky, i cani, la Mamma e i “Paccheri alla Vittorio”. Poche cose mi irritano come “Gioco di consistenze”, rivisitazione, texture e splendida cornice! Un sogno nel cassetto: vedere “enogastronomia ” quale materia di studio nella scuola dell’obbligo… chissà, magari un giorno! Curatore e Direttore Editoriale Spirito Autoctono Media

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