Perché la libertà è una parola che sembra uscita da un vecchio dizionario scolastico, ma che ogni tanto scende in strada, fuma una sigaretta e inciampa in una bicicletta. Il 25 aprile.
L’Italia ha questa curiosa tendenza a fare della memoria un’architettura barocca: con guglie, scale che non portano da nessuna parte e candelabri accesi di giorno. E così anche il 25 aprile, giorno della Liberazione – sì, con la elle maiuscola, sempre, per contratto -, è diventato una specie di reliquia laica, conservata in una teca di vetro, portata in processione tra un comizio e una banda di paese.
L’essenzaautentica del 25 Aprile
Ma la verità — che ha un pessimo gusto in fatto di estetica e preferisce sempre le scarpe comode alle citazioni — è che quel giorno fu un groviglio di voci, strappi, spari, biciclette, sigarette accese e frasi sgrammaticate dette in fretta. La Liberazione, infatti, non fu un hashtag. Fu uno sparo al confine tra il coraggio e la disperazione.
La voce dalla radio: un eroe anonimo
Alle ore 08:00 circa – ma il tempo durante le insurrezioni si comporta da ubriaco, quindi prendi questa informazione con il beneficio del dubbio – una voce gracchiò dalla radio: “Cittadini, lavoratori! Oggi 25 aprile, sciopero generale contro l’occupazione tedesca…”
La voce era roca, giovane, e sembrava avere il fiatone. Non c’era la retorica degli oratori: solo un tono da chi ha corso troppo, o ha pianto poco prima. Nessuno sa con certezza chi fosse. Si parlò di un attore teatrale scomparso, di un bidello del Piccolo Teatro, di un certo Augusto che vendeva libri proibiti a Brera. Nessuno lo ha mai trovato, anche perché nessuno l’ha mai cercato davvero. L’Italia, si sa, preferisce i morti celebri agli eroi anonimi.

Michele e la ciclofficina della Resistenza
A Vercelli, nel frattempo, un uomo chiamato Michele – anche se tutti lo chiamavano il Pazzo, e lui non sembrava dispiaciuto del titolo – si mise in mezzo ai binari. Arrivava un treno tedesco carico di munizioni. Michele appoggiò la bicicletta sui binari e ci si sedette accanto. Era il 25 aprile
Il treno rallentò. Michele sorrise. I partigiani spuntarono dal bosco come cervi armati. Il treno si fermò. Michele venne ferito alla spalla, ma restò vivo. Dopo la guerra aprì una bottega: “Ciclofficina della Resistenza”. Se portavi una bicicletta il 25 aprile, ti cambiava una gomma gratis. Se portavi un ricordo, ti ascoltava in silenzio.
La scritta di Giovannino: parole semplici, significato profondo
A Genova, una maestra raccontò di un bambino di otto anni, Giovannino, che il 25 aprile si alzò presto, prese un gessetto bianco (rubato, pare, dalla lavagna dell’aula 3B e scrisse su un muro della scuola:
“Oggi siamo liberi”. Non “oggi l’Italia è libera”, e neanche “abbiamo vinto”, ma una cosa semplice, quasi privata, come una nota sul diario. La scritta rimase lì per mesi, resistendo alla pioggia, al sole e alle nuove vernici. Alcuni giurarono che fosse indelebile. Oppure che fosse stata scritta, chissà come, dall’altra parte della Storia.
Sempre al nord, sempre il 25 aprile, ma questa volta sul confine svizzero, alcuni ufficiali fascisti provarono a fuggire travestiti da frati cappuccini. Avevano abiti veri – presi da un convento compiacente – e passi misurati. Uno di loro, però, accese una sigaretta mentre aspettava il passaggio su una barca. Fu questo il dettaglio che li tradì. Nessun frate, all’epoca, avrebbe fumato in pubblico. Vennero arrestati da un gruppo di partigiani che ridevano troppo forte per sembrare vendicativi. Uno dei finti frati, prima di salire sul camion, disse: “Anche Dio oggi è partigiano”.
La frase finì su una targa commemorativa. Il che, ovviamente, ne rovinò per sempre il significato.
C’era poi una donna, chiamata Leda, faceva la staffetta tra i monti. Non portava solo armi e ordini, portava anche poesie cucite negli orli della gonna. Frasi d’amore, versi mutilati, haiku improvvisati. I partigiani leggevano quei romantici pizzini di notte, prima di dormire. Nessuno l’ha mai fotografata, anche se in tanti giuravano: “Sì, io l’ho vista”. Si racconta che abbia aperto una libreria in Toscana. Si racconta troppo. Forse era solo un’invenzione collettiva. O forse era l’Italia, che ogni tanto sogna.

25 Aprile: come festeggiare – oggi più che mai – la Liberazione
di Francesco Bruno Fadda
Il 25 Aprileoggi: memoria eattualit
Oggi, quando arriva il 25 aprile, si tira fuori la retorica migliore, si lucidano le trombe, si recitano i discorsi come preghiere mandate a memoria. Eppure, il nemico non è più il fascismo. È l’oblio. Si tratta di quel lento scolorire della parola “libertà” fino a farla sembrare una tonalità di beige. È dimenticare che fu tutto sporco, urgente, assurdo, umano.
E se senti, per strada, il cigolio di una bicicletta vecchia o la voce roca di una radio che gracchia da un garage… beh, non è nostalgia. È la Storia che prova a non farsi archiviare. E ogni tanto, ci riesce.
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