Cronaca di un funerale che non è ancora accaduto, (ma che la macchina mediatica ha già sepolto due volte e riesumato almeno tre), di un inviato che ha smesso di credere nei comunicati stampa.
Città del Vaticano, il centro del mondo
Il Papa non è ancora stato sepolto, ma la sensazione, nella pancia molle della macchina ecclesiastico-mediatica, è che l’evento sia già accaduto almeno tre volte. Una volta nelle prove tecniche. Una nei sogni. E una nella mente lucida e disperata di un redattore di un giornale ecclesiastico che, dopo aver firmato il necrologio ufficiale, ha chiesto ferie non retribuite per “parlare un po’ con Dio senza intermediari”.
Alle 8:47, una processione di preti sonnambuli scivola lungo Via della Conciliazione. Indossano casule come armature esauste, e sfilano con la grazia un po’ goffa dei pinguini nelle pubblicità natalizie. Non parlano. Sanno che tutto è già stato detto, e molto peggio, già scritto.

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Oltre la realt
A Piazza San Pietro c’è un vento leggero, l’aria odora di plastica, incenso, e gomma da scarpe nuove. Sui maxischermi scorrono immagini del pontefice con bambini, colombe, sorrisetti umili in pose strategiche. Nessuno menziona la notte in cui, a Santa Marta, Papa Francesco chiese a una suora: “Prega anche per quelli che non pregano più, ma non riescono a smettere di credere nel bene?”. (La suora ha risposto con un abbraccio. Non autorizzato).
La bara non c’è ancora. Eppure tutti si comportano come se l’avessero già vista. Come se fosse lì, invisibile eppure solenne, come l’eco di un applauso che non sai più se è finito o se stai ancora sentendo. Un funzionario della CEI mangia una brioche al cioccolato dietro una colonna. “È il Papa del popolo”, borbotta con zucchero sulle labbra. “E il popolo, si sa, ama i santi comodi e i miracoli ben impaginati”. Una donna bacia una fotografia incorniciata. Un bambino, accanto a lei, gioca con un rosario come se fosse una fionda. I droni ronzano in aria: pare siano dieci, ma sembrano cento. Uno si schianta su un’antenna e viene subito censurato in diretta.
Il funerale social
E poi, senza preavviso, succede. La piazza si fa silenziosa. Non per rispetto, ma per incertezza. Una specie di stallo metafisico, come se il mondo stesse buffering. Dal baldacchino centrale esce un uomo. Non è il Papa. Non è nessuno che si conosca. Forse un tecnico, forse un simbolo, forse l’umanità che sbaglia palco. Dice solo: “Non è ancora finito”. Poi sparisce dietro una tenda rossa. Il Papa, intanto, continua a morire a intervalli regolari su Twitter. E resuscita in podcast commemorativi dove lo chiamano “il Santo delle scarpe comode”.

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Un’icona, certo. Ma anche un uomo che, secondo alcune fonti vicine alla lavanderia pontificia, piangeva ogni 29 luglio senza motivo. “Diceva che era la data più inutile dell’anno” confessa una suora sarda, “e che Dio ci parla anche con le date grigie.”
Non ci sarà un funerale oggi. Forse nemmeno domani. O forse sì, ma sarà così ben coreografato, che nessuno noterà l’assenza della bara. E intanto il sole cala, e i piccioni tornano a reclamare la piazza, e da una finestra di un palazzo vaticano una voce sussurra, flebile: “Anche Dio, a volte, non sa se siamo ancora vivi.”
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