C’è un’azienda toscana — sì, Toscana, quel territorio che ha dato i natali alla lingua
italiana e alle tovaglie a quadri — che ha deciso di cambiare radicalmente la narrazione su
due concetti che il capitalismo, in tutte le sue varianti da outlet, ha sempre detestato:
scarto e fragilità.
Fody: l’azienda che sovverte il sistema con grazia
Si chiama Fody Fabrics, ma potrebbe benissimo chiamarsi “Manuale Illustrato di Come
Sovvertire un Intero Sistema Produttivo con la Mitezza di un Uccellino”. Perché Fody, oltre
ad avere un suono gradevole e vagamente aerodinamico, è anche un volatile del
Madagascar noto per la capacità di costruire nidi collettivi con quello che trova per terra —
scampoli di mondo, brandelli di cose abbandonate, fili che nessuno voleva più.

Da qui nasce l’idea (idea in senso pasoliniano, cioè come corpo e verbo insieme):
recuperare scarti tessili, sì, quelli delle grandi produzioni industriali, delle camicie perfette,
delle collezioni invendute, e farli lavorare da persone che il sistema ha etichettato come
“non idonee” alla produttività standardizzata. Il tutto con una grazia che è difficile non notare, anche per i più cinici tra noi. Perché qui non si tratta solo di “inclusione sociale” o “economia circolare” — che sono espressioni da bando europeo, e funzionano bene nelle slide — ma di un’operazione estetico- esistenziale. Una roba quasi letteraria: tessere bellezza con chi è stato escluso dal disegno.
Una società benefit che cuce futuro
Fody, che è anche una società benefit – ossia una di quelle rare creature giuridiche che non
vive esclusivamente per ingurgitare margini -, ha dichiarato che entro il 2030 vuole donare
un milione di coperte salvavita, impiegare mille persone con disabilità, e riciclare oltre mille
tonnellate di tessuti. Ora, si può reagire a queste informazioni in due modi. Con il classico scetticismo da brunch aziendale: “Sì vabbè, però vediamo i numeri, la scalabilità, l’effettivo impatto sul PIL”. Oppure, con un mezzo inchino interiore e un vago senso di colpa per non
averci pensato prima.
Un milione di coperte, mille mani al lavoro
Perché il punto è che funziona. E non solo funziona: è bello. Lo shop online di Fody — che è
sobrio, non minimalista-alla-milano, ma gentile — offre prodotti reali: borse, pochette,
copertine fatte di storie prima che di tessuti. Oggetti che non sono perfetti in senso Zara,
ma portano con sé il valore opaco delle cose vere. Ogni pezzo ha un’identità — e lo so che suona come pubblicità di profumeria — ma in questo caso è letterale. Perché dietro c’è una persona. Non un algoritmo, non una macchina da taglio laser, ma una mano che ha imparato a cucire e che prima nessuno voleva assumere. C’è un prima e un dopo, cucito insieme a punto invisibile.

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Senza dimenticare le bottiglie di plastica: ogni prodotto, oltre a recuperare tessuti,
toglie dal ciclo oltre 50 bottiglie, cioè ripulisce il mondo mentre ti porti in giro il computer o i
pannolini. È come se Mary Poppins avesse fatto uno stage in sostenibilità presso le
Nazioni Unite.
La rivoluzione gentile di Fody
Ma la cosa più affascinante — e qui viene fuori l’anima davvero letteraria dell’impresa — è
che Fody non vuole farti sentire in colpa. Nessuna retorica punitiva, nessuna imposizione
ideologica. Solo la proposta gentile di una forma alternativa di lusso: il lusso
dell’imperfezione, della storia, della lentezza. Il lusso dell’essere umani, non performanti.
In un mondo che misura tutto in efficienza e ottimizzazione, Fody propone una visione
radicale: che il bello possa venire da ciò che era rotto, e che le mani che l’hanno ricucito
valgano più di ogni logo. E francamente, oggi, non so quale rivoluzione potrebbe essere più elegante di questa.
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