Una pizza a bocca di forno, foto Nik Owens per Unsplash
CiboPERSONE

Dentro la pizza con Albert Sapere: stili, abbinamenti e consigli da un vero conoscitore

Dalla pizza napoletana alla New York Style, un viaggio appassionante tra stili, culture e sapori con il curatore di 50 Top Pizza

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La pizza, uno dei simboli culinari più amati e diffusi al mondo, è molto più di un semplice piatto. È un fenomeno culturale, un linguaggio universale che unisce persone di ogni età e provenienza. Nata in Italia, ha conquistato ogni angolo del pianeta, adattandosi ai gusti locali e dando vita a innumerevoli varianti. Ma dietro la sua apparente semplicità si cela un universo complesso e affascinante, fatto di tradizioni secolari, innovazioni audaci e una passione contagiosa.

Storia, tendenze e segreti della pizza

Per fare luce su questo mondo, abbiamo intervistato uno dei massimi esperti di pizza, Albert Sapere, insieme a Barbara Guerra e Luciano Pignataro curatore della guida mondiale 50 Top Pizza. Sapere, figura di spicco nel panorama gastronomico internazionale, noto per la sua profonda conoscenza e passione per la pizza, ci ha guidato in un viaggio tra storia, tendenze e segreti di questo piatto straordinario. Attraverso la sua esperienza e competenza, ci offre una prospettiva unica e illuminante sul mondo della pizza, svelando i retroscena e le evoluzioni più recenti.

Albert Sapere ritratto all'interno di Palazzo Reale a Napoli
Albert Sapere (Ph: Alessandra Farinelli)

Una domanda che vuole dissolvere una curiosità che hanno in tanti: che fine hanno fatto le pizzerie di quartiere, quelle con bicchiere a tartaruga e tovaglia a quadri anni ’80 per capirci. La Matozzi della situazione, attira ancora l’attenzione del pubblico?

Non solo esistono, ma vanno benissimo. La pizza, rispetto all’alta cucina, è proprio questo. La pizza oggi è la pizzeria di quartiere dietro casa, dove vado a prenderla il sabato. Quella pizzeria storica di 100 anni che da 100 anni fa la stessa cosa. Ma è anche qualcosa di più impegnativo, che mi offre dei prodotti più ricercati, che propone vari stili di pizza, che propone cocktail e grandi vini. Che mi offre anche un’esperienza borderline, non dico di puro lusso, ma quasi. Oggi quello della pizza è un mercato tanto grande, a tutti i livelli. Talmente grande che c’è spazio davvero per tutti.

L’unica regola è quella di lavorare bene. E per “lavorare bene” nel mondo moderno non si intende solo fare un buon impasto e utilizzare buoni prodotti. Lavorare bene significa dedicare attenzione al cliente, far sentire il cliente a proprio agio. La pizza la sbagliano tutti, l’importante è ammetterlo, scusarsi e rifarla, offrire un gelato e regalare un bel sorriso. Così torna tutto a posto! La pizza è questo.

Ma il termine che oggi si usa tanto e in alcuni casi a sproposito: pizza gourmet. Ti piace come termine? Che significato gli dai?

Non mi piace nemmeno per la cucina, perché in tutto esiste il buono e il cattivo. Il termine gourmet è una cosa che ogni tanto va di moda, prima si usava per la cucina, ora si usa per le pizzerie, ma è un termine che non ha valore. Gourmet può essere anche una margherita, la cosa importante è un grande pomodoro, un grande fiordilatte, un olio da 30 euro al litro di grande qualità.

Albert Sapere: la pizza deve restare democratica, nonostante il successo

Secondo te non è un’accezione che viene utilizzata da pizzerie che vogliono darsi un tono e vogliono aumentare il prezzo?

Come tutti, vogliono solo più clienti. Il pubblico generalista è molto ampio e la comunicazione moderna è molto “short” e vive di titoli. Il termine gourmet evoca una possibile esperienza migliore. Non ci vedo né malafede né una vera strategia di marketing, semplicemente un messaggio per allargare il pubblico, e ci sta. Non mi piace, ma ci sta, non è dannoso, quindi va bene.

La pizza è sempre una pietanza democratica?

Deve esserlo. E deve restare tale nonostante il successo, la diffusione e i cambiamenti sociali, perché la pizza nasce democratica.

Ci troviamo in una città senza connessione, quindi non possiamo collegarci a 50 Top Pizza. Lontani da casa, come si fa a scegliere una pizzeria valida per un amante della pizza?

Il passaparola è sempre un ottimo strumento, se proprio non avete connessione! Io giro tanto, e anche nel posto più remoto del mondo ho trovato connessione, quindi meglio affidarsi a un buon indirizzo sulla mappa di 50 Top Pizza – sorride -. L’anno scorso, tra indipendenti, catene artigianali, i vari spin, abbiamo visitato e recensito oltre 3000 pizzerie nel mondo, direi che si possa definire un numero interessante da tenere sott’occhio e da sfruttare.

La premiazione di 50 Top Pizza Asia 2025
Foto della premiazione di 50 Top Pizza Asia 2025. Il prossimo appuntamento a Rio de Janeiro il 10 aprile

Oltre tremila dentro 50 Top Pizza, quante ne avete lasciate fuori?

Non è necessario svelare il numero dei locali “fuori” guida, questi numeri li teniamo per noi, ci sembra giusto focalizzare l’attenzione su chi ha avuto merito e quindi accesso alla nostra classifica. Sicuramente ti dico che ne abbiamo visitate molte di più, questo è certo. Ma continuiamo a concentrarci sul merito e sulla crescita delle persone, perché si può sempre migliorare, si può sempre fare meglio.

In Italia si moltiplicano gli stili: Napoletana, Romana, Veronese, Padellino solo per citare i più noti. All’estero come funziona?

In Italia, oltre a quelli citati da te, ci sono anche altri stili, ci sono tante tipologie di pizza, per esempio la pizza stile italiano, c’è lo stile degustazione, insomma, c’è davvero tanto. Ecco, per capirci, nel mondo c’è tantissimo….La pizza anche oltre i confini Italiani resta una religione.

Per un abitante di New York per esempio la Chicago Style non è pizza, ti ride in faccia e ti dice che non è pizza. Per lui esiste solo la New York Style – reciproco ovviamente per un abitante di Chicago ndr -. La New York Style è una pizza non buona, ma proprio grandiosa e oramai è presente in tutto il mondo. Anche a Napoli c’è una pizzeria che fa New York Style per esempio, e aggiungo che si tratta di una delle mie pizze preferite, è fatta proprio bene.

Una Chicago Style
“Un abitante di New York dirà sempre che quella di Chicago non è pizza. E così via”

Negli ultimi anni è venuta fuori anche la Tokyo Neapolitan Style, una pizza creata da pizzaioli di seconda generazione, che hanno sviluppato un loro tipo di stesura. In Giappone sta vivendo un discreto successo. Una famosa catena, Savoy, ne propone otto o dieci in carta, anche a Los Angeles e in altre città del mondo.

Sapere: quello che fa la differenza non è la tendenza, il luogo o lo stile. Ma la qualità dei prodotti

Una forte interazione, un’influenza incredibile. L’Italia che influenza il resto del mondo e il resto del mondo che offre un’idea nuova alla nostra amata pizza.

Gli Stati Uniti sono il paese che consuma più pizza pro capite, New York è la città con più pizzerie al mondo, sono più di 10.000. Cioè New York fa Campania, Lazio e Toscana tutte assieme, così giusto per dare un’idea.

Come la trovi realmente la pizza che propongono fuori dall’Italia? Riescono a interpretarla a dovere?

Quello che fa la differenza non è la tendenza, il luogo o lo stile, ma la qualità delle materie prime e dei prodotti utilizzati per realizzare la pizza. E quando c’è questa attenzione al prodotto, l’interpretazione è sempre corretta, talvolta proprio ottima.

Metti sempre l’accento sulle materie prime. All’estero utilizzano ottime materie prime locali, oppure acquistano da fornitori italiani?

La formula più diffusa è il mix. Oggi si possono trovare tantissimi prodotti italiani come la farina, il pomodoro, l’olio extravergine e la mozzarella di qualità. Altri prodotti invece sono locali come i vegetali o alcuni formaggi. È la contaminazione che ha decretato il grande successo della pizza, che l’ha resa la pietanza più consumata del mondo – l’alimento è ancora il riso -. La pizza è un prodotto che si riesce a contaminare, pur restando originale nella propria immagine.

Come sono i prezzi? Cioè per mangiare una buona pizza negli Stati Uniti, a New York, per fare un esempio.

Una buona margherita a New York in questo momento costa tra i 22 e i 25 dollari, tasse escluse che fanno lievitare il conto.

La cosa meravigliosa della pizza, è che la mangiano tutti

Li vale?

Li vale quando paghi un affitto di 20.000 dollari al mese per stare nell’East Side. Ai quali devi aggiungere il personale, le tasse. A tutto questo devi aggiungere che il 70% delle materie le devi importare dall’Italia. Quindi si, li vale tutti, per meno di 25 dollari, un prodotto di qualità non può uscire dal forno.

Qual è l’americano tipo che frequenta le pizzerie?

La cosa meravigliosa della pizza è che la mangiano tutti, dal Presidente degli Stati Uniti all’operaio che ha risparmiato per uscire una sera. È proprio nella cultura americana, quindi dal primo all’ultimo cittadino, non c’è un target vero.

Torniamo in Italia. Molti pizzaioli, anche giovani, stanno proponendo una pizza più sempre più tradizionale.

La ruota di carrointendi? Una delle tendenze più forti in questo momento. Soprattutto fuori dall’Italia, lo stile napoletano è quello che fa più presa tra i consumatori, Napoli è associata alla pizza, come il Giappone è associato al sushi, come il ramen è associato alla Cina.

La pizza napoletana è un modo di essere

In questo scenario, il ritorno alla tradizione, quindi alla classica ruota di carro, una pizza generosa che sborda dal piatto, è stato naturale. Un’ulteriore offerta che sta avendo ottimi riscontri.

Con The Over ci siamo posti come obiettivo primario di raccontare le cose senza dare per scontato nulla, quindi ti chiedo, che cos’è la pizza napoletana? Cornicione alto, cornicione basso, pronunciato, meno pronunciato, morbida ma che non si pieghi

Per una domanda secca, una risposta secca. La pizza napoletana è un sentimento, perché più che raccontare gli aspetti tecnici, cosa che potrebbe essere anche inutile, prima di tutto la pizza napoletana è un modo di essere, è una cultura, è un modo di vivere, è quello che si è creato intorno a questo prodotto e soprattutto quello che questo prodotto ha creato nel resto del mondo, continua a guardare la pizza napoletana. La pizza napoletana è senza dubbio un pezzo di cultura, lo dice anche l’Unesco.

Oltre Napoli, qual è la città italiana che ha sviluppato un rapporto positivo con la pizza?

Roma e poi Milano, ma sicuramente Roma. La Capitale ha uno stile di pizza suo, nato per un errore di lievitazione, non si riusciva a stendere col mattarello perché aveva una lievitazione di due o tre ore al massimo. Da qualche tempo invece, le nuove generazioni di pizzaioli non solo hanno ampliato il tempo della lievitazione, ma hanno lanciato una vera e propria rivoluzione intorno alla pizza romana. Hanno lavorato e continuano a lavorare parecchio sugli ingredienti del topping, e devo dire che lo stile si presta molto bene anche agli abbinamenti più particolari e inusuali.

Lo stile romano, mette in primo piano i condimenti, esalta quello che c’è sopra e accompagna. I romani sono molto fieri della famosa “scrocchiarella”, con il bordo lievemente bruciato e con il filo d’olio a farlo brillare. Uno stile che viene interpretato sempre meglio, con sempre maggiore attenzione alla qualità.

La pizza in teglia o pizza al taglio, un continuo fermento

Noi in guida, per non sbagliare, la chiamiamo Pizza in Viaggio, così non facciamo torto a nessuno. Non solo in continuo fermento, ma sono proprio partiti prima, e lo stimolo più importante è arrivato da Gabriele Bonci.

Con Pizzarium ha cambiato le regole del gioco, è partito prima lavorando sull’impasto e sulla proposta diversa dei condimenti, comprendendo da subito che la pizza in teglia si presta addirittura meglio della pizza tonda per sperimentare e interpretare vere ricette.

La rivoluzione Bonci è stata detonante

Bonci in questo è stato un maestro e devo riconoscere che oggi il tema non è capire o conoscere chi è più o meno bravo di Gabriele, ma che tutta la nuova generazione che propone la pizza in teglia è frutto dell’avanguardia di Gabriele Bonci. Tutti provengono da quella storia e da quel percorso.

La sua rivoluzione è stata talmente forte e impattante, che per vederne un’altra in questo settore bisognerà attendere altri 30 anni. Per comprendere ancora meglio il movimento creato da Gabriele Bonci, se oggi dovessi raccontare l’evoluzione dei vari stili di pizza, potrei fare una ventina di nomi di pizzaioli diversi, in base allo stile, ma non ti potrei indicare un vero papà, certo per tutti. Sulla pizza al taglio non c’è dubbio. C’è un solo nome.

Un'insegna evocativa

Abbinamenti, l’eterna diatriba, pizza e birra si o no?

L’abbinamento dipende da due cose. La prima, dove vivi, perché in base a dove vivi c’è un tipo di abbinamento. In Brasile si abbina una cosa, negli Stati Uniti si beve un’altra cosa, in Giappone altro ancora. Quindi prima di tutto dove vivi.

Sapere: la pizza si abbina bene con tutto

La pizza, come dicevo prima, è come la balena bianca – nel senso più democristiano – del mercato, si mangia tutti i pesci piccoli, va bene su tutto. Il vino, la birra, i cocktail, tutto quello che può essere abbinabile in un percorso sulla pizza ci sta. Io cerco di variare il più possibile. Se sto nell’area napoletana spesso abbino alla pizza un Gragnano, se mi sposto in altri territori italiani scelgo solitamente un Prosecco.

A Tokyo più volte ho bevuto molto volentieri il Sake, vivendo esperienze davvero appaganti. L’abbinamento è un modo per entrare in sintonia con la cultura del luogo. Se ci sono tante persone che fanno un tipo di abbinamento, prima di tutto, chi sono io per dirgli no? Certo, se mi proponi una bibita super zuccherata, evito sicuro. Ma se parliamo di prodotti di buona qualità, va sempre bene assaggiare.

In conclusione, c’è una pizzeria in Italia che si deve visitare assolutamente? Anzi, un suggerimento anche per New York e per Londra!

Certo, uno per tutti: 50 Top Pizza. Le classifiche di 50 Top sono parte di me, del mio gruppo, del nostro lavoro e quindi non potrei mai inserire un locale di cui per primi noi tre curatori – Barbara Guerra e Luciano Pignataro – non siamo convinti.

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Scritto da
Francesco Bruno Fadda

Sardo per nascita, italiano per convinzione, battitore libero per natura.
 Giornalista e gastronomo, autore, ghost writer, avvocato mancato - per fortuna! - e cuoco mancato -...ma c’è sempre tempo! -. Vivo e “divoro” il mondo per passione prima che per professione. Quattro i punti deboli: le donne che bevono whisky, i cani, la Mamma e i “Paccheri alla Vittorio”. Poche cose mi irritano come “Gioco di consistenze”, rivisitazione, texture e splendida cornice! Un sogno nel cassetto: vedere “enogastronomia ” quale materia di studio nella scuola dell’obbligo… chissà, magari un giorno! Curatore e Direttore Editoriale Spirito Autoctono Media

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