C’è quell’attimo, immancabile e atteso, in cui Alessandro Borghese – chioma fluttuante, occhiali dalla montatura spessa, sorriso sornione – pronuncia la frase di rito: «Il mio voto può confermare o ribaltare il risultato».
Ormai il riff lo abbiamo imparato a memoria, il Borghese nazionale lo ha pronunciato tante di quelle volte, da superare i confini del tormento. Ma al pubblico navigato di 4 Ristoranti interessa poco del voto del Cuoco in sé, il vero spettacolo è già andato in onda durante la puntata: un circo di piatti, puntigli e punteggi improbabili. In effetti, più che una gara culinaria, 4 Ristoranti è una commedia all’italiana travestita da reality gastronomico, dove il piatto principale servito è la cattiveria, seguita da un contorno abbondante di contraddizioni e ripicche.
Quattro ristoratori, mille rancori.
Ogni episodio riunisce quattro ristoratori della stessa zona geografica, ognuno chiamato a sfidarsi su un tema più o meno strampalato. “Miglior ristorante post-etnico di Milano” o “Miglior agriturismo con vista mozzafiato in Umbria”, definizioni talmente specifiche da far pensare che siano sorteggiate da un cappello.
La selezione dei locali in gara è a dir poco discutibile, spesso anche per Borghese stesso. Non aspettatevi il ristorante stellato di grido o la trattoria storica che conoscono tutti, no. Più facile trovare l’osteria aperta da sei mesi in un vicolo nascosto, il bistrot inaugurato giusto la settimana prima – magari nella speranza di fare il botto grazie alla TV -, o il locale dall’esistenza effimera che, con poca ironia della sorte, chiuderà i battenti poco dopo la messa in onda del programma.
La fama televisiva spesso dura meno di un dessert flambé. E questo la dice lunga su quanto 4 Ristoranti sia più uno show sulle vanità e meschinità umane, che una vera cartina tornasole della migliore ristorazione d’Italia.
Benvenuti a Cena con Borghese (e Giudizio)
Il copione di ogni puntata è rodato. Borghese accompagna i concorrenti in giro sul suo van nero fiammante, facendo da Cicerone rock’n’roll: entra in cucina, assaggia con entusiasmo esagerato qualsiasi cosa, addenta di tutto, dal sushi di lago alla cassoeula vegana, con espressione estasiata. Dispensa aneddoti e curiosità culinarie come fosse un libro di gastronomia ambulante. Fin qui, tutto molto piacevole.
Ma è quando si passa ai voti che inizia il vero teatro dell’assurdo. I quattro ristoratori, dopo aver mangiato a turno nei rispettivi locali, sguinzagliano i giudizi su quattro categorie: menu, servizio, location e conto. E qui succede di tutto. Altro che diplomazia e correttezza, sembra di assistere a una partita di Risiko. Dove ogni punto in meno garantito all’avversario, si trasforma in un carro armato piazzato ai confini del suo impero culinario.

È tutto un gioco di specchi, un teatro dell’ipocrisia in cui la frase “sarò sincero” preannuncia la coltellata più letale
I concorrenti arrivano alla resa dei conti armati di sorriso a trentadue denti e coltello – metaforico…si spera – ben affilato. La cosa affascinante è la logica creativa, diciamo pure contorta, con cui vengono assegnati i voti. Non c’è relazione diretta tra ciò che dicono e ciò che scrivono sulla scheda. È tutto un gioco di specchi, un teatro dell’ipocrisia in cui la frase “sarò sincero” preannuncia la coltellata più letale.
Abbiamo sentito concorrenti lodare apertamente un piatto e subito dopo veder comparire un
numeretto miserabile vicino alla voce “Menu”. Esempi pratici? A bizzeffe. Uno su tutti: in un
episodio memorabile ambientato in Veneto, una ristoratrice ospite si commosse fino alle lacrime
assaggiando il dessert della collega – “Mi ha fatto ripensare ai bei momenti dell’infanzia”, dichiarò singhiozzando, mentre tutti annuivano commossi. Salvo riprendersi un attimo dopo e rifilarle un bel 2 sul menu [*1]. Avete capito bene: due. Come dire, “grazie per aver risvegliato il dolce ricordo della nonna, però in classifica ti spedisco all’ultimo posto lo stesso”.
Un altro concorrente, dopo aver spazzolato tutto quello che aveva nel piatto e aver ripetuto quattro volte “ho mangiato benissimo”, ha candidamente assegnato un 6 al Menu, motivando con un diplomatico “eh, sì buono… ma avrei osato di più”. Sei, capite? In qualsiasi scuola del regno un 6 significa la pura sufficienza, il minimo sindacale. Sentirlo assegnare a un pranzo definito ottimo è un cortocircuito logico degno di Alice nel Paese delle Meraviglie versione gastro-televisiva. Ma a 4 Ristoranti queste cose accadono con la stessa naturalezza con cui appare la pubblicità dell’amaro a fine pasto.
L’acqua nel bicchiere sbagliato? Voto 3
E vogliamo parlare del capitolo “Servizio”? Apriti cielo. Qui ogni piccola pecca diventa un delitto
di lesa maestà. Se il cameriere versa l’acqua nel bicchiere sbagliato, parte immediata la vendetta tremenda: “Mi dispiace, ma devo dare 3 al servizio”. Magari detto col sorrisino dispiaciuto e la vocina contrita, come se stessero davvero soffrendo a dover punire la sventurata svista. Ma ovviamente è tutto fuorché involontario.
Un concorrente ha dichiarato serio: “Mi hanno portato il calice da vino bianco invece che da rosso”, scuotendo la testa con la gravità con cui si denuncerebbe un atto criminale, “quindi al servizio do 2”. Due. Per un bicchiere sbagliato. In quel momento il pubblico a casa probabilmente immaginava già gli ispettori sanitari irrompere in sala. Invece era solo una piccola, umanissima ripicca trasformata in valutazione numerica. Il paradosso è che poco prima magari lo stesso tipo aveva apprezzato la gentilezza del personale e la bontà dei piatti, ma tant’è: un calice fuori posto e crolla il “4° ristoratore”.

Location, location, location… ovvero come demolire l’atmosfera di un locale con un colpo di
penna.
Anche qui, la creatività abbonda. Se il ristorante non ha la vista sull’ottava meraviglia del
mondo, prepariamoci: “È un po’ banalotta la sala, molto anni ’80” dirà il concorrente di turno, con la stessa espressione schifata che avrebbe nello scoprire topi in cucina. Magari il locale in questione è pulito e dignitosa, ma non abbastanza “originale” per i gusti ricercati – !! – del collega-rivale. Verdetto? Un bel 2 in pagella.
In una puntata ambientata in Puglia, ad esempio, un partecipante assegnò 4 punti alla location di un agriturismo delizioso tra gli ulivi perché “uhm, troppe sedie di plastica, mi aspettavo le sedie in legno rustico originale”. Traduzione: non era abbastanza instagrammabile per i suoi standard arbitrari, quindi giù mazzate. Un altro trovò “troppo colorate” le pareti di un locale arredato in stile marinaresco, “ manca di carattere autentico”. Voto, un severo 5 con commento distopico: “mi ha distratto dalla cena”.

Ponti Acetificio: valore, tradizione e territorio
di Giovanna Romeo
Queste contraddizioni nei punteggi sono diventate il marchio di fabbrica del programma, al punto che lo spettatore medio ormai gioca a prevederle: “Ha detto che il pesce era freschissimo e cotto alla perfezione? Occhio, gli darà un 5.” – “Uh-oh, l’ha visto sorridere troppo durante l’antipasto, sentirai che bastonata sul servizio adesso…”. Non è cinismo gratuito: è proprio quello che accade, puntata dopo puntata.
I ristoratori in gara sembrano avere un perverso manuale non scritto su come mascherare le proprie strategie dietro valutazioni all’apparenza motivate. La frase tipica è “Devo essere oggettivo”, subito prima di sparare un voto del tutto soggettivo e punitivo. Oppure: “Non è niente di personale”, il che, di solito, prelude al colpo basso più personale di tutti. C’è quasi sempre l’ingenuo idealista del gruppo che, credendo nel fair play, distribuisce voti relativamente alti a tutti, pensando “se lo meritano, hanno lavorato bene”.
Certo, lo stesso lo vedi a fine puntata con gli occhi sbarrati e il sorriso congelato, quando scopre che gli altri invece lo hanno demolito senza pietà: “Come, mi avete dato tutti 5? Io vi avevo dato 8…”. Ingenuo, appunto. In Italia, e 4 Ristoranti ce lo ricorda in HD, tra una forchettata e l’altra, la strategia è sempre la medesima: “o freghi o vieni fregato”.
La recita finale, Borghese il deus ex machina
Il culmine del teatro dell’assurdo arriva nella scena finale, intorno al tavolo della resa dei conti. Qui i quattro Anton Ego per l’occasione, dopo essersi scannati a colpi di voti bassi, devono anche mantenere la faccia tosta mentre Alessandro Borghese legge i risultati. È un momento di altissima arte drammatica. Sorrisi tirati, mani che si torcono sulle ginocchia sotto il tavolo, sguardi in cagnesco che cercano di sembrare candidi.
Il cuoco e conduttore – o conduttore e cuoco – romano annuncia categoria per categoria, e sullo schermo compaiono i punteggi assegnati da ciascuno. Si scoprono gli altarini. “Chi è che mi ha dato 4 alla location?” sbotta il ristoratore Caio, già fulminando con lo sguardo il sospetto Tizio seduto di fronte. Tizio, che ovviamente era quello che ha dato 4, fa spallucce: “Eh ma non ti offendere, sai, ho trovato un po’ buia la sala…”.
Intanto Sempronio gongola perché vede che la strategia altrui ha funzionato a suo vantaggio, mentre l’ingenuo di prima realizza di essere stato fregato e abbozza un sorriso più falso di una banconota da 3 euro. È una scena che potrebbe benissimo essere scritta da un commediografo satirico: quattro italiani attorno a un tavolo che cercano di non scannarsi verbalmente, dopo averlo appena fatto per iscritto sui voti.
Nulla è ancora deciso… perché il mio voto può confermare o ribaltare il risultato
A quel punto, Borghese – che ha fiutato tensioni e piccole perfidie già da giorni – tira fuori l’arma finale, ovvero il suo voto segreto. Con aria solenne ripete – se qualcuno non l’avesse in ancora sentita – la famosa formula: “Nulla è ancora deciso… perché il mio voto può confermare o ribaltare il risultato”. È il momento Carràmba che sorpresa! Quello in cui tutti fingono di crederci tantissimo, anche se ormai le classifiche parziali parlano chiaro.
Borghese potrebbe quasi allungare la suspense a piacimento, magari sorseggiando un amaro con calma, ma di solito per fortuna va dritto al punto. E qui succede una cosa quasi poetica: spesso il suo voto ribalta davvero la situazione, guarda caso a favore di chi più lo meritava sul piano culinario. È come se il conduttore diventasse un deus ex machina bonario che ristabilisce un minimo di giustizia nel caos generato dalle faide di punteggio.
A cura di Borghese, il ritratto antropologico degli italiani a tavola in competizione
Certo, lui stesso ammette che non può fare miracoli aritmetici: se i concorrenti hanno dato voti troppo bassi, non sempre la matematica gli consente di ribaltare davvero. Ma quando ci riesce, c’è un sottile senso di rivincita: ha vinto il cibo, malgrado tutto. E Alessandro se la gode, con quel sorriso zen da Buddha rock, perché sa di aver domato – almeno per questa volta – la fame di vittoria dei suoi concorrenti.
Conclusione. In definitiva, 4 Ristoranti non è tanto un programma di cucina quanto un brillante – a tratti impietoso – ritratto antropologico degli italiani a tavola in competizione. Altro che carbonara o ossobuco: il piatto forte qui è l’ego al gratin, servito con una spolverata di astuzia e un filo d’olio di ipocrisia. La cucina è il campo di battaglia, ma le armi sono i voti, usati ora come fioretto ora come clava. E noi spettatori ce ne stiamo lì, divertiti e indignati allo stesso tempo, a guardare questo piccolo grande teatro dell’assurdo.
Ridiamo delle frecciatine velenose, ci scandalizziamo per il 2 dato “per sbaglio” al rivale, e intanto magari pensiamo che, sì, dopotutto un po’ ci rispecchiano queste scenette: chi di noi non ha mai assistito a una piccola faida di condominio o ufficio mascherata da “valutazione obiettiva”?
Tra garbo e brindisi: in fondo si tratta solo di un gioco
Ecco, 4 Ristoranti porta tutto ciò in scena, con piatti veri al posto dei pettegolezzi e punteggi al posto dei dispetti. Alessandro Borghese, regista impassibile di questo spettacolo, ci guida con garbo tra un litigio e un brindisi, ricordandoci che è solo un gioco. E forse il segreto del successo del programma è proprio questo: mescolare la passione italiana per il cibo con quella – ahimè ancor più italiana – per la competizione spietata ma ipocritamente sorridente.
Il risultato è agrodolce, ma irresistibile, un po’ come ridere con l’amaro in bocca. Del resto, in televisione come nella vita, a volte la sincerità è il piatto più difficile da servire.
E a 4 Ristoranti, di sincerità se ne assaggia poco meno del retorico Q.B., nascosta tra molte portate di spettacolo e vanità. Buon appetito – e occhio al voto!
[*1]: L’episodio è diventato proverbiale tra i fan del programma: una lacrima di nostalgia non basta a garantirti la clemenza nel punteggio, soprattutto se quella lacrima appartiene a una concorrente determinata a vincere. In pratica: emozione sincera sul momento, stiletto avvelenato in pagella.
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